Riceviamo e pubblichiamo una lettera firmata che parla di sport. Ne parla nel modo che piace a noi, per cui ve la proponiamo affinché faccia da spunto di riflessione per tutti, sportivi e non.
“Lo sport associa e affratella.” Chi ha detto questa celebre frase non lo ricordo; so che mi rimbomba in testa fin dai tempi delle scuole elementari. Si parla tanto dell’etica e del valore dello sport, però poi, a volte, non si va oltre le parole.
E allora mi sono chiesto: cosa significa fare sport? La risposta sta in quello che quotidianamente avviene sui campi di gioco che frequento che, maggiormente, sono calcati dai piedi di ragazzine che vanno dai 10 ai 13 anni di età.
Queste ragazzine, e i loro genitori, sanno che ogni singola gara è per loro un’occasione formativa ed educativa, sanno che lo scopo non è vincere ma migliorarsi, sanno che sul campo di gioco incontreranno altre ragazzine, con cui potranno sbocciare legami di amicizia. Così si battono, dando il meglio che possono, anche quando si trovano di fronte avversarie più preparate di loro, sempre con il sorriso sulle labbra e la voglia di giocare. “Abbiamo perso, ma ci siamo divertite tantissimo”, è il commento più frequente alle fine della partita.
Con le avversarie si danno il cinque, si abbracciano, si fanno i selfie nello spogliatoio, intonano insieme cori da stadio e si scambiano i numeri di telefono per organizzare magari un’amichevole, che forse non verrà mai giocata, ma che, nel loro immaginario, costituisce un’occasione per rivedersi ancora.
Altre volte no; altre volte, con sommo dispiacere, si assiste ad un altro film.
Altre volte, le bambine si sono trovate a dover sopportare occupazioni di spogliatoi e di campo, gesti di insofferenza e contestazioni animate su decisioni arbitrali, prive di qualsiasi logica di buon senso. E non da parte delle ragazzine avversarie, ma da parte dello staff che queste ragazzine deve supportarle ed educarle allo sport che “associa e affratella.” Nessuno stupore, quindi, se, a fine partita, i festeggiamenti per la vittoria superano il limite del rispetto per l’altra squadra sconfitta e nemmeno per il messaggio di una bambina che, il giorno dopo, “uozzappa” all’avversaria “pensavo foste più forti, invece fate schifo”. Episodi isolati, per fortuna, ma che feriscono le atlete ben più della débacle in campo.
E allora parliamone pubblicamente, perché il parlarne può essere utile a far scaturire qualche riflessione.
Io sono arrivato ad una conclusione: vincere è importante, ma è altrettanto importante il come si vince e il prezzo della vittoria che paga l’avversario sconfitto. E lo sport che vogliamo è quello dove, anche tra avversari, ci si batte il cinque e, a fine partita, ci si saluta e si fa merenda insieme.
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