“Si balla ai compleanni, ai matrimoni, per le strade, sul palcoscenico, dietro le quinte. Per comunicare gioia e dolore. Come rituale per vivere esperienze estreme. Il ballo è un linguaggio universale: ambasciatore per un mondo di pace, per l’eguaglianza e la tolleranza. Il ballo insegna sensibilità e consapevolezza. Il ballo è manifestazione di vita. Il ballo è trasformazione, il ballo è espressione dell’anima. Il ballo ci dà la possibilità di sentire il nostro corpo, di innalzarci, di andare oltre, di diventare un altro corpo. Il ballo è partecipare attivamente alle vibrazioni dell’universo.”
Questo leggevo sulla pagina Facebook di Antonella Campanari il giorno che ho deciso di incontrarla al Teatro del Carmine, che è la sede della sua scuola di danza Harmònia. Qui Antonella insegna alle sue allieve, anzi alle sue “adepte”, come le definisce con un sorriso; termine inusuale che però la dice lunga sull’affezione che loro nutrono nei confronti della maestra e dei suoi metodi di insegnamento.
Puro amore per la danza classica, non sbocciato in un determinato momento, ma nato insieme a lei, così tanto amore che Antonella, la quale comincia a studiare danza a dodici anni – non è proprio prestissimo per una ballerina – nel Centro Artistico Danza di Patrizia Daniello, si butta intensamente in quella che lei chiama, appunto e giustamente, un’arte, seguendo contemporaneamente corsi insieme a bambine di cinque anni, di nove e di dodici, affinché la sua preparazione non sia scevra di quella formazione di base, che è indispensabile nel cammino di chiunque della danza voglia farne una professione. Recupera velocemente il tempo perduto e, a vent’anni, comincia a dare gli esami per entrare all’Accademia Nazionale di Danza: “Non sono entrata subito, perché, consapevole del fatto di aver cominciato tardi a ballare, ho studiato tre anni, privatamente, con una docente dell’Accademia, che mi ha seguìto in questo percorso. Nel 1991, ho fatto il mio ingresso in Accademia, frequentando corsi per diventare insegnante. Avevo già le idee chiare.”
Di lei, durante la nostra chiacchierata, mi colpisce molto il realismo, che in certi ambienti non è poi così scontato: ammette, senza alcun giro di parole, che, dopo tre anni di Accademia ed un esame, sostenuto al sesto corso, sceglie di imparare ad insegnare, perché non in possesso di tutte le doti fisiche che si richiedono ad una ballerina professionista: gambe alte, anche ruotate, collo del piede pronunciato. “Avevo molti altri virtuosismi come il salto e il giro, ma comunque non era il mio sogno quello di entrare in una compagnia di danza. Crearne una sì, mi sarebbe piaciuto, ma una compagnia non prettamente classica. Mi piace molto il teatro: la recitazione, la prosa, il canto lirico. Ovviamente, la mia passione più grande è la danza classica, però adoro anche il musical, perché penso che sia un’arte completa, dove ciascuno possa veramente far valere il suo miglior talento.”
Ammette anche che, terminati gli studi, avrebbe accettato volentieri di conoscere altre realtà diverse da Orvieto, ma l’incontro con l’uomo della sua vita e la scelta di mettere al mondo tre figli in sette anni, per forza di cose, hanno giocato un ruolo fondamentale in quello che sarebbe stato il suo futuro di professionista. E così sono diciannove anni che insegna danza, dapprima in una struttura che ospitava unicamente la sua scuola e poi, da due anni, al centro di Orvieto: “Non sono mai stata sola a portare avanti la scuola di danza, ma mi sono sempre avvalsa della collaborazione di altri professionisti, che possono, con la loro preparazione, completare la formazione delle mie allieve. Dal 2008, lavoro con Marzia Elisabetta Polacco, che è una ballerina professionista, diplomata all’Accademia di Stoccarda. Lei ha studiato repertorio, passo a due e propone questo alle allieve che hanno superato il decimo anno di studi e che sono in possesso di una preparazione tecnica di base sufficiente a poter affrontare questo importante salto di qualità.”
Avevo sempre pensato che la danza fosse sacrificio, abnegazione, calzamaglie intrise di sudore, gambe spezzate dagli esercizi alla sbarra. Avevo sempre pensato che la danza, per quanto meravigliosa, fosse quanto di meno democratico potesse esistere al mondo, una disciplina dura, spietata con i più e accondiscendente solo con pochi: tu stai lì, ore ed ore per tendere alla perfezione, poi ti guardi allo specchio ed ecco che lui, amiconemico di ogni ballerina, ti rigetta in faccia la tua immagine con tutti i suoi mille difetti. Antonella mi sorride e il suo sorriso è disarmante, ancora una volta illuminato dalla sua vena di realismo: “Sarebbe meglio studiare tutti i giorni, e non solo un paio di volte alla settimana, però, per quello, io penso che ci siano le scuole professionali. Io seguo le mie allieve fino ad un certo punto della loro preparazione. In questa scuola, la danza è per tutti: quelle meno dotate, quelle in sovrappeso. Non è giusto, e lo trovo veramente cattivo, che sia io a doverle selezionare. La selezione avverrà nel momento in cui questa persona deciderà di fare della danza la sua professione, ma la divulgazione della danza, come passione e come disciplina, è un’altra cosa. La mia soddisfazione più grande è vedere emergere nelle mie allieve non solo la tecnica, ma la tenacia e la personalità.”
Il musical, genere artistico dalle molteplici sfaccettature, è il leit motive dei saggi spettacoli annuali degli allievi, che coinvolgono varie realtà e vari artisti, orvietani e non. L’idea di quest’anno nasce da un incontro che Antonella ha avuto con Armando Ariostini, baritono di fama internazionale ormai a riposo. Con la sceneggiatura scritta dal Dott. Alberto Romizi, ecco servita la commedia musicale di quest’anno “Amore. Istruzioni per l’uso”, che narra la storia vera di questo baritono che si avvia, non senza rimpianti, alla fine della sua carriera e di un giovanissimo aspirante ballerino, innamorato senza speranza: l’incontro fra i due cambierà le loro vite. “Il fatto di preparare lo spettacolo insieme a dei professionisti è assolutamente voluto, per dar modo alle mie allieve di interagire con loro e trarre un proficuo momento di crescita.”
Nonostante la crisi, nonostante le tante difficoltà che incontra, Antonella preferisce guardare sempre l’altra faccia della realtà: “Tutti i giorni, ricevo riscontri positivi dalle mie allieve e questo mi riempie di gioia, perché significa che il mio lavoro lascia in loro un segno.”
Ed ecco che, come per magia, la frase letta sulla sua bacheca Facebook ha improvvisamente un senso.
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