Il classico nuoto o una più insolita arte marziale? Il sempreverde calcio o il tennis? Ogni sport ha caratteristiche peculiari di cui tenere conto, soprattutto quando si tratta di scegliere per i bambini più piccoli, della «materna» o delle elementari, in una fase di crescita fisica e psicologica tanto delicata. «Ma oggi l’emergenza sedentarietà (e sovrappeso) nei bimbi è tale per cui più di tutto conta farli muovere, non importa come — osserva Armando Calzolari, presidente della Commissione medicina dello sport della Società Italiana di Pediatria —. Perciò, se vicino a casa c’è un campo da calcio e nient’altro, giocare a pallore andrà benissimo piuttosto che non muoversi affatto».
I DATI – I dati Istat e dell’Osservatorio Okkio alla Salute (del Ministero della Salute-Istituto Superiore di Sanità) parlano chiaro: solo un bambino delle elementari su dieci fa attività fisica in modalità e quantità adeguate; uno su cinque fa sport, ma non più di una volta a settimana; quattro su dieci invece dedicano a Tv o videogiochi tre ore o più ogni giorno. «Prima si comincia con lo sport meglio è, perché il movimento diventi un’abitudine piacevole — raccomanda Calzolari —. Già in età prescolare, ad esempio, i bambini dovrebbero imparare a nuotare, un’abilità di base che bisognerebbe acquisire nella primissima infanzia. Peraltro, il nuoto è uno sport abbastanza completo e adatto ai primi anni di vita».
LA SCELTA – L’età delle elementari è in genere quella della scelta di un’attività specifica; i fattori di cui tenere conto sono molti, ma con un po’ di sano realismo il pediatra avverte: «Il primo fattore da considerare è la “comodità”: inutile puntare al basket se il campo è a chilometri di distanza, meglio un’altra disciplina cui si possa accedere facilmente, quindi con costanza e regolarità». «Inoltre, bisogna ascoltare il bambino e assecondare una sua eventuale “passione”: per aver voglia di continuare l’attività deve piacere e divertire — prosegue Calzolari —. Infine, i genitori amanti di uno sport possono proporlo ai figli, ma l’ideale sarebbe far provare diverse attività nei primi due, tre anni della scuola elementare: servirebbe a far scoprire al bambino ciò che gli piace di più e a far emergere i suoi veri talenti, talvolta inaspettati».
ATTENZIONE ALLA SCHIENA – Non ha più molto senso invece, secondo i pediatri, chiedersi se sia meglio uno sport di squadra o uno individuale. Non è detto, infatti, che un bimbo introverso debba per forza essere spinto in un gruppo: le dinamiche sono più complesse; ogni piccolo va seguito e incoraggiato a trovare l’attività adatta alla sua indole e alle sue caratteristiche fisiche. «Per un consiglio è opportuno parlare con il pediatra, che dovrà poi seguire il bambino per valutare che l’attività scelta non comporti modifiche inadeguate del corpo — raccomanda Calzolari —. Ginnastica artistica e danza, molto amate dalle bimbe, possono ad esempio provocare “effetti collaterali” sulla postura della schiena: sono attività complete, ma il pediatra deve vigilare ed eventualmente consigliare l’associazione con un esercizio diverso che “scarichi” la schiena. L’ideale sarebbe far praticare ai bimbi tre, quattro ore di sport alla settimana, alternando la loro attività preferita con un’altra complementare per caratteristiche». In questo modo si possono peraltro scongiurare i possibili effetti negativi di sport asimmetrici, come il tennis, che andrebbero iniziati un po’ più tardi: fino ai sette, otto anni è opportuno scegliere attività fisiche che stimolino tutto l’organismo (atletica, ginnastica, nuoto), per poi passare eventualmente a sport che richiedono abilità particolari. «Qualunque attività si scelga, infine, è bene visitare diverse scuole: informarsi sulla struttura e sulla formazione degli allenatori è importante per affidare i figli a mani esperte» conclude il pediatra.
GLI ADOLESCENTI – E i più grandicelli che rapporto hanno con lo sport? Stando ai dati Istat è fra gli 11 e i 14 anni che i ragazzini italiani praticano maggiormente sport fuori da scuola, dove peraltro non sempre l’esercizio fisico viene promosso in maniera adeguata (il 34% delle classi svolge meno delle previste due ore di attività motoria a settimana). Secondo la più recente indagine sul tema, condotta dalla Società Italiana di Pediatria in collaborazione con la Federazione Medico Sportiva Italiana su oltre duemila ragazzini di terza media, il 37% degli adolescenti non pratica sport o lo fa per meno di due ore a settimana e oltre il 60% dei ragazzi trascorre seduto 10-11 ore al giorno. «Oggi disponiamo di cibo a volontà e non dobbiamo più spendere energie per muoverci grazie ad ascensori, auto e altri mezzi di trasporto. L’attività sportiva, così come viene praticata dalla maggior parte dei ragazzi, ha ben poca influenza su questo squilibrio — commenta Alberto Ugazio, presidente della Società Italiana di Pediatria —. Difficile che due ore di movimento a settimana possano fare la differenza; serve un’attività fisica regolare: meglio andare e tornare da scuola a piedi o in bici tutti i giorni». Chi si tiene alla larga da qualsiasi attività fisica, stando al sondaggio, adduce come scusa la mancanza di tempo o ammette che muoversi non gli piace. La maggioranza degli adolescenti che fanno uno sport, però, lo pratica perché lo ritiene divertente. «Molti scelgono da soli, ma sulla scia dallo sport visto in TV e non pochi gettano la spugna quando si accorgono che fare un gol richiede tante ore di allenamento» considera Ugazio.
TUTTI I BENEFICI – E dire che l’elenco dei benefici del movimento durante l’adolescenza è lungo: uno studio australiano su oltre 2300 tredicenni ha dimostrato che praticare sport migliora benessere psicologico e qualità della vita dei ragazzini; una ricerca pubblicata sul Journal of Adolescent Health ha mostrato che bastano tre settimane di esercizio fisico regolare (30 minuti di corsa al mattino, tre volte a settimana) per migliorare la qualità del sonno e la performance scolastica dei diciottenni; dati statunitensi documentano inoltre che l’attività sportiva regolare riduce l’aggressività degli adolescenti. «L’esercizio costante — conferma Ugazio — migliora l’attività neuromuscolare e la capacità aerobica, il senso di benessere e la capacità di affrontare gli stress. La consapevolezza delle proprie capacità, non soltanto fisiche, si traduce in ulteriori vantaggi psicologici. E non vanno sottovalutate le conseguenze sociali: il ragazzino che non fa sport, quando viene coinvolto in un’attività fisica di gruppo, si trova spesso in difficoltà, con il rischio di essere emarginato e quindi di isolarsi. Ciò innesca un circolo vizioso (solitudine, sedentarietà, aumento di peso) da cui può diventare difficile uscire» conclude il pediatra.
Elena Meli per Corriere Salute corriere.it
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