Efedrina, desametasone, oxilofrina, mesterolone, metilprednisolone, stanozololo, hCG, testosterone. Una lista infinita che disegna la storia triste, ed al tempo stesso grottesca, di Carmine Stefanile, ciclista dilettante 45 enne, ex nazionale dilettante di Mountain Bike. La Federciclismo lo ha squalificato a vita, dopo averlo trovato positivo, e non era la prima volta, alle otto (avete letto bene, otto) sostanze sopra indicate. Senza andare a fare ricerche troppo approfondite nel complicato universo delle sostanze proibite, possiamo assegnare a Stefanile il ”record del doping”.
Possiamo far rientrare la storia di Stefanile nei grandi misteri dell’uomo. Ovviamente non può essere in alcun modo giustificato un professionista che si dopa o un giovane che cerca di emergere con aiuti illeciti. E infatti nessuno li giustifica: la sempre più ridotta forbice tra doping e antidoping è segnale come il fenomeno sia preso sul serio.
E’ però difficile capire cosa spinga un uomo di 45 anni a rischiare la pelle, perchè di questo si tratta, per vincere gare amatoriali.
Magari la molla è stata la sete di gloria. In uno dei tanti blog in cui si parla di ciclismo qualcuno, ironizzando sugli enormi distacchi inflitti da Stefanile agli avversari, si facevano allusioni al film ”Totò al Giro d’Italia”, in cui un mite professore – il Principe della risata, appunto – batte Coppi, Bartali, Bobet dopo aver venduto l’anima al diavolo. Magari Stefanile l’anima al diavolo non l’ha venduta, a lui bastava il miscuglio di sostanze per sentirsi il più forte, dominare la corse come la Gran Fondo di Caserta, dove, dicono le cronache ”la vittoria è decisa già nella prima salita quando Carmine Stefanile saluta gli avversari per poi rivederli, soltanto, al traguardo”. Ora però la corsa è finita.
fonte: www.repubblica.it
18 febbraio 2009
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